L’esame del campo visivo (5/5)

Lo studio del campo visivo è un momento essenziale dell’esame oculistico. Il generico, nella pratica corrente, può studiare il campo visivo per confronto chiedendo al paziente, che si pone di fronte a lui con un occhio coperto, di fissarlo, e spostando poi alla periferia del campo visivo la sua mano o un oggetto sferico. Normalmente paziente e medico dovrebbero percepire l’oggetto test alla periferia nel medesimo istante.

In realtà oggi un esame oculistico non è corretto se non si effettua uno studio del campo visivo con un apparecchio adeguato. Si utilizzano due metodi:

Perimetrica cinetica classica (perimetria di Goldmann). Utilizza una cupola uniformemente illuminata posizionata davanti al soggetto. Una mira luminosa di superficie e intensità note viene proiettata dalla periferia verso il centro. Il soggetto segnala il momento in cui percepisce la mira. Vengono definite in questo modo delle isoptere . Linee a partire dalle quali viene percepita una mira di una data intensità. L’isoptera divide una zona esterna di minor sensibilità da una zona interna più sensibile. La grandezza della mira e la sua luminosità possono essere modificate definendo così delle aree di sensibilità differente.

Perimetria statica. È molto più sensibile e tende a rimpiazzare progressivamente la perimetria cinetica. Consiste nello studiare, all’interno del campo visivo, la sensibilità di un certo numero di punti predefiniti. L’apparecchio dispone di numerosi programmi che differiscono per numero e localizzazione dei punti testati.

L’ESAME DEL SENSO CROMATICO
Rappresenta un esame di routine per poter esercitare alcune professioni. Il soggetto normale realizza la sintesi dei vari colori a partire da tre fondamentali: rosso, verde e blu, mescolati in proporzioni variabili. Si è riusciti a dimostrare che ognuno di questi colori fondamentali corrisponde ad un tipo fotorecettore e ad un mediatore fotochimico particolare. La mancanza di uno di questi meccanismi condiziona un alterazione del senso cromatico. Il numero maggiore di anomalie del senso cromatico è dato dalle forme ereditarie.

Si distinguono:
A) le acromatopsie (mancanza dei tre fondamentali);
B) i sistemi cromatici a due fondamentali:
– deutoranopia (scomparsa del fondamentale verde) o anomalia tipo Dalton;
– tritanopia (scomparsa del fondamentale blu);
C) i sistemi tricromatici anomali, nei quali esistono i tre fondamentali, ma uno di essi è solo parzialmente attivo.

 Le anomalie del senso cromatico colpiscono dal 7% all’8% della popolazione maschile, mentre sono rare nelle donne. Le acromatopsie si trasmettono secondo un meccanismo più spesso recessivo, le altre anomalie con meccanismo recessivo legato al sesso.

Abbiamo a disposizione per individuare un certo numero di test:
i test di confusione: atlanti di Ishihara,

di Polak, di Stilling, A.O.H.R.R, ecc.

Sono delle tavole sulle quali alcune cifre sono segnate su uno sfondo per mezzo di pastiglie colorate. Sfondo e cifre hanno per un soggetto normale colori nettamente diversi, mentre i colori appaiono simili ad un individuo con turbe del senso cromatico, che quindi diventa incapace di leggere le tavole;         
i test di classificazione: consistono nell’osservare in che modo il soggetto riordina un certo numero di oggetti colorati che gli vengono sottoposti. Per lungo tempo sono state usate matassine di lana, oggi si usano i tests di Farnsworth che si avvalgono dell’impiego di piastrine colorate scelte secondo criteri ben precisi. Particolari schemi permettono poi di obiettare l’anomalia di classificazione e rappresentano un elemento essenziale ai fini diagnostici. Quando una malattia della retina o del nervo ottico si accompagna ad una diminuzione del virus, lo studio del senso cromatico permette di attestarne la realtà e di precisarne la sede (se il danno è a livello dei fotorecettori, conti e bastoncelli, o a carico degli elementi della trasmissione nervosa, cellule gaglionari e nervo ottico).

Questo esame, al di fuori delle deficienze del senso cromatico su base ereditaria, ha valore solo se l’acutezza visiva è uguale o superiore a 4/10 e permette di individuare:  
– sia un’ ambliopia cromatica, cioè la confusione di tutti i colori;       
– sia una discromatopsia di asse rosso-verde, che sta ad indicare una sofferenza del nervo ottico (neurite ottica);       
– sia una discromatopsia di asse giallo-blu, che depone per una lesione retinica (retinopatia diabetica o tossica, degenerazione rapeto-retinica). 

LE INDAGINI ELETTROFISIOLOGICHE
Da qualche anno si rincorre, ai fini di una maggiore completezza, alla registrazione elettrica di alcuni fenomeni oculari:


– l’elettromiografia che, attraverso un ago infisso nei muscoli oculomotori, studia il loro potenziale d’azione;
– l’elettronistagmografia;
– l’elettrooculogramma (EOG), che studia il potenziale di riposo dell’occhio e ci informa sulle condizioni dell’epitelio pigmentato;
– l’elettroretinografia che registra i potenziali d’azione retinici durante la risposta ad uno stimolo luminoso. Vengono dapprima sistemati un elettrodo temporale e un elettrodo corneale e poi si regista il potenziale evocato da uno stimolo luminoso noto. La risposta ottenuta è una serie di variazioni di potenziale, in cui è possibile apprezzare un’onda a negativa e un’onda b positiva. La risposta elettroretinografica sembra legata principalmente ai fotorecettori retinici, per cui si troveranno evidenti alterazioni del tracciato solo in rapporto ad una loro lesione (per esempio retinite pigmentosa). Le alterazioni elettroretinografiche sono invece di poco conto in caso di sofferenza delle fibre del nervo ottico. 

I potenziali visivi evocati.

La stimolazione luminosa determina una risposta a livello della corteccia occipitale: i potenziali visivi evocati (PEV). Questi esami registrano l’attività della corteccia occipitale che permette di dimostrare la trasmissione del messaggio visivo. I PEV possono essere studiati attraverso stimolazione o con flash luminosi intermittenti o con immagini strutturate (alternanza di figure geometriche chiare e scure: pattern reversal). E’ possibile così apprezzare sia la morfologia sia il tempo di latenza.

 Le malattie demielinizzanti determinano classicamente un aumento del tempo di latenza, mentre nei processi degenerativi a carico delle fibre ottiche si apprezzano piuttosto modificazioni nella forma e nell’ampiezza dei complessi.


BIBLIOGRAFIA

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  3. Frezzotti R., Guerra R.: Oftalmologia essenziale. CEA Editore, 2006.
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