L’esame della motilità oculare estrinseca (4/5)

L’esame della motilità estrinseca prende in considerazione la posizione del globo oculare nelle nove posizioni di sguardo: diretto in avanti, poi in alto, in basso, a destra, a sinistra, in alto a destra, in basso a destra, in alto a sinistra e in basso a sinistra. L’esame della motilità oculare non è assolutamente doloroso e può essere effettuato anche in soggetti poco collaboranti come bambini o disabili.

L’obiettivo dell’esame è di diagnosticare la presenza di anomalie a carico dell’apparato neuromuscolare dell’occhio e delle alterazioni che da queste derivano (visione doppia, confusione, strabismo, ambliopia, anisometropia, paralisi oculari), al fine di disporre il trattamento adeguato al disturbo riscontrato.

Dall’esame della motilità oculare si evidenzia anche se il paziente tiene una posizione anomala del capo (infatti, quest’ultima può dipendere anche da problemi oculari, come vizi refrattivi non corretti, strabismo, nistagmo o ptosi), che potrebbe essere la causa di una postura scorretta.

Al paziente viene fatta fissare una mira luminosa, poi opportunamente spostata in modo da porre gli occhi nelle diverse posizioni di sguardo.

Durante la prova l’operatore osserva attentamente i movimenti oculari, che sono esplorati sia monocularmente (duzioni) sia binocularmente (versioni).

Con l’esame delle duzioni, quindi, si osserva un occhio per volta mentre l’altro viene schermato; con quello delle versioni vengono studiate contemporaneamente e in modo comparativo le escursioni compiute da entrambi gli occhi, allo scopo di evidenziare le eventuali alterazioni della sincronia e della simmetria oculare.

L’esame prosegue poi con la verifica delle vergenze, ossia la convergenza (la capacità degli occhi di spostarsi contemporaneamente verso il naso) e la divergenza (la capacità dei due occhi di muoversi contemporaneamente in direzione opposta). Quest’ultima prova è molto utile per scoprire la causa di possibili mal di testa o affaticamento oculare durante la lettura o l’uso del computer.

L’ESAME DEL FONDO DELL’OCCHIO
È un momento fondamentale dell’esame oculistico, che ogni medico dovrebbe essere in grado di effettuare in quanto permette di esplorare la papilla e i vasi retinici. Si possono usare sue sistemi. L’oftalmoscopio a immagine invertita proietta sulla retina un fascio luminoso. L’osservatore si pone nel fascio di ritorno dopo aver interposto una lente convergente. L’immagine ottenuta è reale e invertita.

L’apparecchio messo a punto da Schepens è il più utilizzato. Consiste in una luce focalizzata sostenuta da un casco. Il soggetto viene generalmente esaminato disteso e con l’aiuto di una lente ed eventualmente di un indentatore che permette una miglior visione della periferia. Questo dispositivo permette di osservare un campo più ampio ma bisogna abituarsi all’inversione dell’immagine.

L’oftalmoscopia ad immagine diretta, più recente, di più facile esecuzione, offre un ingrandimento pari a 14 volte e permette quindi un esame minuzioso del fondo dell’occhio; ma il campo di osservazione è ristretto per cui si rischia di trascurare alcune zone.

Infine, il fondo oculare può essere esaminato mediante il vetro a tre specchi, che si appoggia sul bulbo con l’interposizione di una goccia di metilcellulosa. Il paziente viene fatto sedere alla lampada a fessura; con la parte centrale del vetro a tre specchi si esamina il polo posteriore, con gli specchi la retina periferica. Quello del vetro a tre specchi è l’unico procedimento che permette una esplorazione veramente soddisfacente della periferia retinica.

Qualunque sia il metodo d’indagine usato, in questo modo possiamo esaminare:
– la papilla, di cui bisogna valutare la colorazione e l’aspetto più o meno nitido dalle immagini;
i vasi, di cui prenderemo in esame le modalità di suddivisione e il riflesso parietale. E facile distinguere le vene, di colore rosso scuro e un po’ più voluminose, dalle arterie che sono più chiare;
la superficie retinica, sulla quale dovremo ricercare la presenza di anomalia, emorragie, edema, essudanti.

La retinografia rende possibile una registrazione fotografica delle osservazioni oftalmoscopiche e, fornendo una testimonianza oggettiva, permette un confronto di varie osservazioni.

 L’ angiografia a fluorescenza consiste nel realizzare una serie di fotografie successive del fondo dell’occhio dopo iniezione intravenosa di fluoresceina. In tal modo si può studiare la dinamica della circolazione retinica e mettere in evidenzia la fissazione della fluoresceina su certe lesioni: tumori, focolai di coroidite evolutivi.

 L’ecografia oculare. Un fascio di ultrasuoni viene parzialmente riflesso quando incontra una superficie che separa due mezzi a differente indice di rifrazione. Si usa una sonda emittente e ricevente al tempo stesso che viene applicata sull’occhio e permette di definire le diverse superfici della cornea, del cristallino e della retina.

L’ecografia rappresenta un’indagine utile nella diagnosi di patologie retiniche o bulbari che non si riescono a vedere direttamente con l’esame oftalmoscopio e consente di studiare la situazione retinica in paziente che si dovranno sottoporre ad intervento chirurgico di cataratta laddove quest’ultima appare molto densa tale da non permettere l’esplorazione diretta della retina.

La Tomografia ottica a coerenza ottica (OCT). L’OCT è un esame non invasivo che permette di scansionare la retina a tutto spessore. Questo strumento invia all’interno dell’occhio onde che penetrano nella retina; attraverso un elaboratore, si ricostruisce un’immagine di tutti gli strati retinici.

L’analisi morfologica della retina permette di mettere in evidenza stati patologici che inducono una modificazione della percezione visiva. Inoltre, permette si effettuare un follow-up in seguito ad interventi chirurgici retinici (distacco di retina, rimozione di membrana epiretinica).

 BIBLIOGRAFIA

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  4. Saraux H.: Oculistica. Masson, 1997.
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